Cina economia di mercato: ecco perché No

Intervista a Lisa Ferrarini, Vicepresidente per l'Europa di Confindustria

09 mar 2017

Laura Aldorisio

Intervista a Lisa Ferrarini, Vicepresidente per l'Europa di Confindustria

Articolo pubblicato su L'Industria Meccanica n. 707

Quando vedrà la conclusione il dossier sul riconoscimento della Cina come economia di mercato?

Con l'adozione il 9 novembre scorso di una proposta legislativa da parte della Commissione europea è stato dato avvio all'iter. Tale proposta dovrà essere sottoposta all'approvazione del Consiglio e del Parlamento europeo sulla base della procedura di co-decisione prima di poter essere applicata. Il processo decisionale si prefigura altamente complesso sia sotto il profilo politico che procedurale per cui ad oggi è difficile poter prevedere tempistiche certe in merito alla sua conclusione.

È un tema che viene spesso collegato all'antidumping. Lo ritiene corretto?

La Commissione europea – assai inopportunamente dal nostro punto di vista – sta trattando in parallelo il tema del Mes alla Cina e la proposta di "modernizzazione" del sistema antidumping, ma si tratta di dossier differenti, con finalità diverse. La "modernizzazione" è sul tavolo delle istituzioni Ue dal 2013 e riguarda l'intero dispositivo antidumping per renderlo, nelle intenzioni dell'esecutivo comunitario, più al passo con i tempi, mentre la proposta "Mes Cina" è volta a modificare soltanto il calcolo del dumping cinese per rispondere alla richiesta della Cina di essere riconosciuta come economia di mercato a seguito di alcune disposizioni del Protocollo con cui essa ha aderito all'Omc. Entrambe le proposte prevedono la modifica dei Regolamenti di base antidumping ed antisovvenzioni ed è proprio a fronte di tale circostanza che sta ulteriormente crescendo la già grande preoccupazione delle imprese, poiché le soluzioni tecniche individuate nel tentativo di trovare un bilanciamento tra i due dossier appaiono improprie e lesive dei legittimi interessi dell'industria.

Come il riconoscimento del Mes alla Cina penalizza l'Italia?

Riconoscere il Mes alla Cina significherebbe vincolare lo strumento antidumping all'utilizzo dei prezzi interni al mercato cinese come parametro per calcolare il dumping, il che comporterà inevitabilmente dazi più bassi, in quanto basati su valori non corrispondenti alle dinamiche del mercato, e insufficienti a tutelare le imprese italiane ed europee. Sullo sfondo di questa complessa vicenda resta, infatti, immutata una certezza inopinabile: oggi come ieri, la Cina non è sicuramente un'economia di mercato e, nonostante alcuni – limitati - progressi, la strada per acquisire questo status appare ancora lunga.

Può e, se può, come un imprenditore rilevare le distorsioni del mercato cinese?

Provare l'esistenza di sovvenzioni e di distorsioni del mercato cinese è già oggi estremamente complicato. La particolare struttura economica cinese con imprese controllate o di proprietà diretta dello Stato e fortemente sussidiate ha come risultato un livello dei prezzi all'esportazione innaturalmente basso tale da provocare danni alle imprese e contrastabile solo con l'antidumping. Finora, le imprese avevano almeno la certezza che spettava ai produttori cinesi dimostrare di operare nel rispetto dei cinque criteri macroeconomici Ue per essere considerati "di mercato". Con le proposte sul tavolo, la Commissione vorrebbe invece far ricadere sulle imprese europee l'onere della prova, con la conseguenza che queste nell'attivare delle inchieste antidumping dovranno stanare e provare sussidi e distorsioni camuffate ad arte quando è la stessa Commissione Ue ad affermare che la Cina non è un'economia di mercato.

Qual è la posizione di Confindustria? Come sta lavorando assieme al Governo?

Siamo assolutamente contrari e il Governo italiano, che è da sempre sensibile al tema, ci affianca in questa battaglia, avendone messo in chiaro fin da subito i termini con la Commissione europea e continuando a mantenere la linea negoziale.

Quali sono i rischi per le imprese italiane?

L'Italia è il paese Ue che fa maggiormente ricorso agli strumenti di difesa commerciale. Venendo meno la tutela dal dumping cinese, molti settori industriali di primaria importanza subirebbero contraccolpi durissimi. Non si tratta solo di acciaio, i settori oggetto delle politiche predatorie cinesi sono moltissimi: la meccanica, la chimica, la bulloneria, le calzature, le biciclette, la carta, il vetro, la ceramica. Non è possibile prevedere dove impatterà domani l'eccesso di capacità produttiva cinese o quali settori verranno presi di mira. Il problema è reale, grave e potrebbe avere effetti strutturali sulla crescita economica e sull'occupazione. Le stime della stessa Commissione europea indicano che sono a rischio oltre 200mila posti di lavoro in Europa di cui diverse migliaia in Italia.

Quali sono oggi gli strumenti di difesa commerciale?

Tali strumenti sono essenziali per combattere la concorrenza sleale e ristabilire condizioni di parità sul mercato. L'antidumping è lo strumento utilizzato più frequentemente. Gli altri sono l'antisovvenzioni e la salvaguardia, attivata in presenza di flussi anomali di importazioni che invadono il mercato europeo. I principi e le regole generali per la loro applicazione sono stabiliti a livello multilaterale e poi recepiti da ciascuno stato membro dell'Omc nella propria normativa interna (per l'Ue, i Regolamenti di base). Nell'utilizzo di questi strumenti, la Ue ha fissato delle prassi che vanno oltre a quanto richiesto dagli obblighi Omc, ad esempio clausole che garantiscono livelli di dazi non punitivi se sufficienti a eliminare il pregiudizio per le produzioni europee, laddove altri membri dell'Omc, inclusi gli Stati Uniti, non applicano autolimitazioni di questo tipo riuscendo a imporre aliquote di dazio molto più elevate.

A oggi quali sono i motivi principali per i quali Pechino non compete con l'Europa ad armi pari?

La concorrenza cinese, con gli enormi vantaggi comparati in termini di costi dell'energia, lavoro e rispetto delle norme ambientali di cui gode, è già di per sé particolarmente insidiosa. C'è poi il problema della sovraccapacità produttiva che distorce il mercato globale da tempo e non vi è alcuna ragione di ritenere che si arresterà. Se alla Cina venisse accordato il Mes e la possibilità di utilizzare la metodologia di calcolo riservata alle economie di mercato, i dazi applicabili sarebbero ridicoli, completamente inutili. L'antidumping ha agito come deterrente verso la concorrenza sleale cinese. Senza di esso non vi sarà più argine. Inoltre, mercati strategici come Usa e Giappone hanno chiaramente indicato di non voler avallare la richiesta cinese di essere considerata un'economia di mercato con il rischio che si inneschino distorsioni dei flussi commerciali con gravi effetti negativi sulla competitività delle produzioni italiane ed europee.

Come la Cina può diventare una destinazione vantaggiosa per i prodotti italiani o un partner commerciale adeguato?

La Cina è un partner commerciale imprescindibile e l'interesse delle nostre imprese per questo mercato è sempre vivo. Tuttavia, restano molti problemi aperti, mancanza di trasparenza, discriminazione delle imprese straniere, inadeguata protezione e applicazione dei diritti di protezione intellettuale, restrizioni all'export di materie prime. Il maggior numero di casi di difesa commerciale coinvolge la Cina. La produzione di merci contraffatte in questo mercato è a livelli allarmanti. Si sta negoziando un accordo sugli investimenti e già si discute di un possibile negoziato commerciale, ma le premesse non sembrano le migliori. Dalla sua adesione all'Omc nel 2001, la Cina non sembra ancora volersi pienamente conformare agli obblighi previsti.

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