L'acqua non è un alimento

Ecco cosa significa dal punto di vista normativo in Europa.

26 ott 2017

Roberto Cattaneo

Articolo pubblicato su L'Industria Meccanica n. 711

La questione se l'acqua sia da considerare oppure no un alimento è piuttosto rilevante, se si considera
che la risposta a questa domanda comporta l'applicazione, oppure no, della normativa speciale dedicata dall'ordinamento giuridico Ue e nazionale agli alimenti, e non invece all'acqua.

Proprio in considerazione dell'organizzazione che la Ue ha voluto conferire alla normativa speciale dedicata agli alimenti e all'acqua si può dire, con ragionevole certezza, che no, l'acqua è acqua, non è un alimento.

La ragione più evidente di questa affermazione è che sono chiaramente distinguibili i regimi giuridici dedicati, da una parte, all'acqua e ai materiali a contatto con l'acqua, dall'altra agli alimenti e ai materiali a contatto con gli alimenti. Le regole sono spesso complementari, ma mai sovrapponibili.

A incoraggiare l'equivoco che vorrebbe l'acqua classificata tra gli alimenti è una lettura superficiale della definizione di alimento prevista dal Reg. (CE) 28/01/2002, n. 178/2002/CE, il quale all'articolo 3 dice che nella definizione di alimento «sono comprese le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi sostanza, compresa l'acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, reparazione o trattamento».

Con questo comma il legislatore Ue vuole semplicemente includere nella norma alcuni elementi particolari che, proprio in ragione del fatto di essere oggetto di normative speciali, potrebbero erroneamente essere considerate escluse dalle norme sugli alimenti qualora fossero incorporate, in qualità di ingrediente, in un alimento.

Ma l'alimento resta tale e gli ingredienti restano ingredienti.

Se non fosse sufficiente questa motivazione, lo stesso regolamento 178/2002/CE precisa che l'acqua è inclusa «nei punti in cui i valori devono essere rispettati come stabilito all'articolo 6 della direttiva 98/83/CE e fatti salvi i requisiti delle direttive 80/778/CEE e 98/83/CE»; e l'articolo 6 della direttiva, afferma, con chiarezza: «I valori di parametro fissati a norma dell'articolo 5 devono essere rispettati nei seguenti punti:

a) per le acque fornite attraverso una rete di distribuzione, nel punto, all'interno di locali o stabilimenti, in cui queste fuoriescono dai rubinetti, di norma utilizzati per il consumo umano;
b) per le acque fornite da una cisterna, nel punto in cui queste fuoriescono dalla cisterna;
c) per le acque confezionate in bottiglie o contenitori e destinate alla vendita, nel punto in cui sono imbottigliate o introdotte nei contenitori;
d) per le acque utilizzate nelle imprese alimentari, nel punto in cui sono utilizzate nell'impresa.

E il punto in cui sono utilizzate nell'impresa coincide con il punto in cui avviene il prelievo dell'acqua dalla
rete idrica, che distribuisce acqua potabile.

Queste conclusioni sono confermate anche dalle pagine web divulgative del ministero della Salute, nelle quali le normative citate quando si parla di acqua potabile sono il dlgs. 31/2001 e il decreto 174/2004, non certo la normativa sugli alimenti. Lo stesso accade sul sito web che la Ue dedica all'acqua potabile.

Nessun dato normativo può portare a concludere che l'acqua sia da considerare un alimento e che quindi sia da considerare nell'ambito di applicazione del regolamento n. 178/2002/CE; le fonti normative parlano di due regimi separati e distinti, dedicati l'uno agli alimenti e ai mangimi, l'altro all'acqua potabile. Il legame tra i due distinti regimi è offerto dall'occasione in cui l'acqua diventa un ingrediente di un alimento, ma, in questo caso, la norma dice che l'acqua, quale ingrediente, deve rispettare le norme specifiche dedicate all'acqua. Nessuna confusione o sovrapposizione tra le due normative, piuttosto complementarietà.

Può darsi che definire l'acqua come alimento sia una semplicistica soluzione a un problema che riguarda un caso specifico, ovvero il trattamento dell'acqua a valle della rete distributiva e destinata a un impianto di lavorazioni alimentari. La vera domanda è se un impianto di questo tipo sia parte della lavorazione alimentare, dell'impianto alimentare, oppure no.

La definizione di "acque destinate al consumo umano" prevista dalla direttiva sull'acqua potabile e recepita, sembra proprio dirci che anche le acque trattate e destinate a lavorazioni alimentari sono incluse nell'ambito di applicazione della stessa. Il momento in cui l'acqua finisce di essere tale e comincia il proprio destino di ingrediente alimentare è quello in cui viene immessa in un impianto per la produzione e trasformazione di alimenti.

Da qui il rispetto, da parte dei soggetti che si occupano, a diverso titolo, del trattamento e dell'affinamento delle acque potabili, del d.lgs 31/2001 e del decreto 174/2004, che costituisce il punto fermo per la produzione di materiali e oggetti destinati al contatto con l'acqua potabile; diverse le norme che regolano il contatto di materiali e oggetti con gli alimenti. Quest'ultimo ambito è normato dal regolamento 1935/2004, rispettato dai produttori di macchine e impianti che lavorano e trasformano alimenti.

Il fatto che una macchina per la lavorazione degli alimenti debba essere costruita rispettando il regolamento 1935/2004 non fa dell'acqua, utilizzata come ingrediente, un alimento. L'acqua resta acqua, gli alimenti restano alimenti. E il confine tra acqua ed alimento è il punto in cui l'impresa utilizza, preleva, l'acqua, come da direttiva Ue.

Una chiara eccezione a questo regime generale è costituita dalle acque idonee al consumo umano, non preconfezionate, somministrate nelle collettività e in altri esercizi pubblici, trattate e gasate, attraverso un'apparecchiatura specifica.

Se ce ne fosse bisogno, proprio la necessità di questa disposizione speciale conferma che, in generale nell'ordinamento, l'acqua non è considerata affatto un alimento.
Si tratta dell'acqua, trattata, servita ormai in molti ristoranti e bar, oppure distribuita dalle "case dell'acqua" così diffuse sul territorio.

L'etichettatura di queste acque è analoga a quella prevista dagli alimenti (d.lgs. 27/01/1992, n. 109), devono riportare, ove trattate, la specifica denominazione di vendita "acqua potabile trattata o acqua potabile trattata e gassata" se è stata addizionata di anidride carbonica.

Una previsione complementare a questa norma è rappresentata dal DM 25/2012, art. 3, comma 8, il quale che l'addizione di sostanze o gas nell'ambito del trattamento dell'acqua deve rispettare le norme relative al settore alimentare. Ma sarebbe un errore sostenere che questa eccezione sia la regola.

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