Questa la tesi emersa dal FIMI, il Forum Internazionalizzazione Made in Italy organizzato da Messe Frankfurt. Le fiere possono dare un contributo rilevante al made in Italy.
26 nov 2012
È l'export Italiano che può rimorchiare l'Italia fuori dalle secche della crisi. E tra i settori, quello ad avere le maggiori probabilità di successo è il manifatturiero.
E' la tesi emersa durante i lavori del FIMI - Forum Internazionalizzazione Made in Italy che Messe Frankfurt, la Fiera di Francoforte, ha organizzato in collaborazione con Il Sole 24 Ore nei giorni scorsi a Milano. Tra gli strumenti a disposizione degli imprenditori, le fiere di settore svolgono un ruolo essenziale, poiché da qui passa un quinto circa dell'export italiano.
"Il proprio orticello non basta più - ha spiegato alla platea di imprenditori Aldo Bonomi, Fondatore e Direttore dell'Istituto di ricerca Aaster -. Ma non basta più nemmeno guardare solo all'Italia, o alla Germania o alla Francia. La visione dalla quale non si può prescindere oggi è l'Europa".
Prima di lui, Detlef Braun, membro del direttivo di Messe Frankfurt, aveva introdotto il significato del termine "coopetizione", concetto che fa da cappello a tutte le strategie dell'ente fieristico tedesco. "La cooperazione con i nostri concorrenti ci permette di creare una situazione win-win in cui tutti vincono - ha spiegato Braun -. In tempi come questi il segreto del successo è puntare sulle piattaforme vincenti. Ciò significa forse che i più piccoli e isolati scompariranno ma significa anche che a rimanere saranno solo i migliori, quelli che dalla collaborazione con l'altro, anche se l'altro è un concorrente, sono capaci di trarre insegnamenti e spunti per la crescita".
Tra il capitalismo tedesco e quello italiano restano delle differenze, come ha illustrato Bonomi. "Quello che abbiamo noi è un capitalismo manifatturiero molto legato al territorio. La domanda che dobbiamo farci è: alla fine di questa crisi, questo tipo di capitalismo permetterà al nostro settore manifatturiero di essere ancora al secondo posto in Europa?". Il capitalismo italiano è nato con la Fiat e l'Olivetti. Poi sono arrivati i distretti produttivi ma questi stanno subendo una grande metamorfosi tant'è vero che oggi - ha ricordato secondo Bonomi: "Il nostro capitalismo di territorio è riassumibile in 19 piattaforme territoriali tra cui la Via Emilia, l'arco alpino, le due pedemontane che vanno da Torino a Trieste, le città adriatiche, l'asse tosco-umbro-marchigiano e l'asse pugliese".
Il tema dell'internazionalizzazione come antagonista al manifatturiero di territorio è stato ripreso anche nelle tavole rotonde che hanno seguito il dibattito principale. Nella prima delle due "Le imprese italiane verso i mercati esteri" si è parlato di esperienze e successi. Come quello di Gefran che, partita tanti anni fa come un piccolo laboratorio è ora tra i leader del mercato. "Se guardo la mia azienda calata nel suo territorio – ha affermato Ennio Franceschetti, Presidente di Gefran – mi sembra grande ma in realtà è piccola se vista in un contesto europeo. Ed è questo il momento di decidere se si vuole diventare grandi o rimanere piccoli".
Sulle "Strategie per l'internazionalizzazione fra incertezze, opportunità e nuovi scenari" si è invece concentrato il secondo confronto. "Il manifatturiero italiano fatto di uomini, di idee e di ottimi prodotti merita di essere valorizzato – ha sottolineato Giuliano Busetto, Presidente di Anie AssoAutomazione – e le fiere sono certamente uno strumento valido per ottenere questo risultato".
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