Esab, dopo il Covid, guarda all’automazione

Difficoltà per i nostri clienti di accedere al credito. È questo il principale limite del sistema Italia riscontrato da Massimo Impavidi managing director di Esab saldature. Per il resto, la crisi sanitaria ha accelerato il processo di digital transformation già in corso. Tra gestione da remoto dei processi e nuovi servizi legati ai big data si rafforza lo smart working e la costruzione di canali digitali nella relazione con i clienti

a cura di Daniele Bettini

23 set 2020

Quali sono stati gli impatti della crisi Covid sulla sua impresa, anche in termini di fatturato?

In generale possiamo dire che ci ha impattato di riflesso. Come azienda eravamo già organizzati per lo smart working, magari non in quantità così massive, ma avevamo strumenti e organizzazione per gestirlo. Per quello non ci siamo mai fermati completamente e anche ad oggi (1 di luglio NdR) continuiamo ad avere circa il 50% dei collaboratori in smart working.

Il problema più grosso è stato quello di non riuscire a incontrare i clienti. E quando dico “di riflesso”, intendo dire che sono proprio i nostri clienti ad aver sofferto di più. Hanno chiuso o rallentato, hanno posticipato tutto quello che potevano o comunque sono stati impossibilitati a proseguire normalmente il loro business. Tendenzialmente, registriamo un – 15, – 20%, considerando che siamo dei distributori con competenza sull’Europa del Sud (Italia, Grecia, Malta, Cipro, Turchia e Israele) e dal nostro punto di osservazione la crisi ha impattato più sull’Italia che sui paesi in cui esportiamo.

Quali sono gli scenari su cui state lavorando da qui a un anno?

È bene chiarire che siamo una filiale commerciale di una multinazionale americana, siamo quindi, per così dire, più protetti rispetto alla volatilità dei mercati.

A questo si aggiunge un business molto trasversale: riforniamo aziende tra loro molto diverse dall’automotive alla cantieristica, dall’Oil&gas all’edilizia. Ovunque ci siano saldature noi ci siamo. Vendiamo prodotti per la saldatura da pochi euro o da milioni e siamo contemporaneamente in settori ciclici e anticiclici, per questo siamo piuttosto bilanciati e meno esposti di altri alle crisi.

Abbiamo uno zoccolo duro di ordini a 30-60 giorni che ci dà continuità e ci permette di programmare, altri invece, che puntano su una raccolta settimanale o quotidiana. A questi corrispondono, generalmente, due tipologie di clienti: aziende molto grandi e solide che hanno risentito relativamente della crisi, che possono permettersi un magazzino ampio, solido e immobilizzi e distributori che invece non hanno queste possibilità.

In questo periodo hanno accorciato i tempi di richiesta e ordinano su venduto, ovvio che questi ultimi rappresentano la parte più fragile del sistema.

Quindi tendenzialmente sono tutti più accorti, ma c’è chi può e vuole investire e chi invece non può o è più spaventato dall’incertezza dei mercati e ordina al bisogno rendendo più difficile la programmazione. Detto questo, l’idea per l’anno prossimo è di tornare sui livelli pre-crisi, ovviamente a meno di nuove ondate pandemiche.

Quali cambiamenti organizzativi avete dovuto apportare nell’immediato per gestire la riapertura e quali pensate di apportare nel breve periodo?

A livello aziendale non abbiamo effettuato molti cambiamenti organizzativi, quello che ha impattato di più ovviamente è stato lo smart working. Siamo riusciti a ridurre anche i costi, tagliando o rimandando i viaggi, le fiere e tutti gli altri incontri con i clienti.

Da un altro punto di vista siamo stati costretti ad accelerare dei processi che stavamo già presidiando e che vanno nella direzione della gestione del business da remoto. Abbiamo delle soluzioni particolari per cui possiamo dare accesso ad alcuni dati ai clienti, possiamo ad esempio gestire la saldatura da remoto EDS (ESAB Digital Solutions). Tutto questo per sottolineare come andiamo sempre più verso l'automazione e il controllo da remoto dei processi senza presenza fisica in loco. Quindi, sostanzialmente abbiamo spinto su nuovi servizi che il mercato ha recepito molto bene nei suoi player più innovativi.

Ci sono degli obblighi che accelerano dei cambiamenti che erano già previsti o delle trasformazioni che, in qualche modo, potrebbero risultare utili a prescindere dalla stretta emergenza? In questa visione alcuni degli investimenti che state realizzando potrebbero rendere la vostra impresa più resiliente nei confronti di prossime eventuali emergenze?

L’utilizzo dello smart working è andato incontro alle esigenze del dipendente e come risposta è aumentata anche la disponibilità dei nostri collaboratori. A questo abbiamo affiancato iniziative come webinar, che sono stati molto apprezzati anche dai clienti, ed è possibile che in futuro rientrino nella nostra strategia aziendale. È evidente che non è solo un risparmio, ma anche un efficientamento della disponibilità.

L'emergenza sanitaria ha evidenziato dei limiti strutturali del sistema industriale italiano ? Se sì, quali?

Dal confronto settimanale con colleghi di tutta Europa, al di là dei limiti strutturali della catena produttiva italiana, in alcune aree siamo stati pronti e assolutamente in grado di competere con tutti. La carenza che ho purtroppo riscontrato è stata di carattere finanziario e di accesso al credito. Questa è un'area che rischia di penalizzarci molto. C’è troppa burocrazia, non è una novità, mentre altrove è ridotta al limite. Troppo spesso vengono demandate a livello locale decisioni che bisognerebbe avere il coraggio di prendere centralmente: tutto questo comporta mancanza di rapidità e incisività. Questo in particolare l’abbiamo visto nell’accesso al credito che è stato molto limitato.

Ha colpito molti nostri clienti e soprattutto le Pmi che si sono viste ridotte le loro disponibilità e le loro capacità di fare business.

Parlando di innovazioni? Automazione, Big Data o più in generale digital transformation come vi ponete?

La crisi ha accelerato la digital transformation dell’azienda e la spinta su alcuni servizi digitali che vanno dalla gestione da remoto di macchine e processi, alla manutenzione predittiva. Dal punto di vista commerciale stiamo lavorando sull’e-commerce nella convinzione che certe rivoluzioni vadano cavalcate e gestite per non correre il rischio di essere travolti. Certo, sono grandi trasformazioni non sempre semplici, ma molti clienti ci seguono e apprezzano mentre altri guardano con sospetto. Noi però ci stiamo lavorando con grande attenzione.

Filiere troppo lunghe e delocalizzate sono più esposte a variabili difficili da interpretare, la crisi sanitaria in questo senso è solo l’epifania di un mutamento che può spingere verso il reshoring?

Nel medio periodo potrebbe esserci un interesse ad accorciare la filiera ritornando in Europa o in Italia. Questo perché la vicenda Covid ha mostrato la fragilità di filiere connesse al Far East.

Onestamente però faccio fatica a capire cosa possa succedere tra due, tre anni, perché questi investimenti sono molto influenzabili dalla politica del breve periodo. Nel lungo credo si tornerà comunque sempre a una globalizzazione anche se magari mitigata, ma non credo che si possa tornare a effetti troppo locali.

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