Quali sono stati gli impatti della crisi Covid sulla sua impresa, anche in termini di fatturato?
Stiamo ancora cercando di valutare gli impatti della crisi sanitaria. Sicuramente produrranno una contrazione del fatturato rispetto al budget, ma stiamo lavorando per non scendere al di sotto del fatturato dello scorso anno.
Molto, però, dipenderà dai progetti che completeremo nei prossimi mesi.
Produciamo impianti su commessa, quindi, non c’è una produzione costante e regolare, abbiamo picchi di fatturato e lavoro. La complessità del progetto a volte può portare a ritardi se il cliente non può partecipare di persona ai collaudi e questo è proprio quello che è accaduto in questi mesi. Purtroppo, non tutto si può fare da remoto, soprattutto per i progetti più complessi e delicati serve il confronto fisico e sono proprio questi progetti che hanno subito un ritardo.
Comunque, a fine anno, anche se dipende da cosa accadrà in autunno, potremmo effettivamente subire una contrazione di fatturato che stimiamo tra 10 e 15% rispetto alle previsioni.
In ogni caso, il ciclo produttivo delle nostre macchine varia tra i 6 e i 12 mesi a seconda della complessità degli impianti, quindi, i risultati del lockdown si vedranno non prima di gennaio.
Quali cambiamenti organizzativi avete dovuto apportare nell’immediato per gestire la riapertura e quali pensate di approntare nel medio periodo?
La complessità dell’organizzazione deriva dal fatto che costruendo impianti su commessa abbiamo dovuto far fronte non solamente alle nostre assenze, che sono arrivate al 30-35% del personale (non uniformemente distribuito), ma anche a quelle dei clienti. Perché noi lavoriamo a diretto contatto con loro e quindi la cosa è stata più difficile da coordinare.
Abbiamo puntato su alcune tecnologie che avevamo nel cassetto, che i nostri clienti non avevano mai voluto utilizzare. Sempre più videoconferenze, sempre più soluzioni per fare collaudi finali e guidare i manutentori dei clienti da remoto. Durante il lockdown neppure noi eravamo autorizzati ad andare dai clienti per mantenere le macchine in esercizio. Il nostro cliente principale è l’industria farmaceutica e non abbiamo fermato la produzione anche per responsabilità nei confronti dei clienti che stavano lavorando per risolvere l’emergenza.
Per quanto riguarda lo smart working, è stato utilizzato laddove indispensabile. Costruendo macchine su commessa il contatto fisico con il prodotto è importante. Discutere del problema di fronte alla macchina è diverso rispetto alla stessa discussione fatta al telefono.
In generale però abbiamo preferito non eccedere nell’utilizzo dello smart working per diversi motivi. Volevamo che tutti i dipendenti, indipendentemente dai ruoli e dall’inquadramento, condividessero un forte senso di responsabilità verso l’azienda e verso i clienti e, non sapendo quanto sarebbe durata l’emergenza, temevamo che qualcuno, abituandosi a lavorare da casa con ritmi diversi, avrebbe faticato a tornare ai ritmi e ai modi di lavorare “normali”.
Ci sono degli obblighi che accelerano dei cambiamenti che erano già previsti o delle trasformazioni che, in qualche modo, potrebbero risultare utili a prescindere dalla stretta emergenza? In questa visione alcuni degli investimenti che state realizzando potrebbero rendere la vostra impresa più resiliente nei confronti di prossime eventuali emergenze?
Abbiamo introdotto alcune novità come il controllo da remoto delle macchine per realizzare test e collaudi. Non credo che li dismetteremo per alcuni clienti, anche se è chiaro che la tecnologia non sostituisce la relazione fisica. Quando il cliente viene in azienda per il collaudo finale della macchina, vede con chi lavora, vede come si costruisce la macchina stessa, capisce la filosofia con cui è costruita. In questo modo, qualora dovesse riscontrare un problema la conosce meglio. Il collaudo fisico, in questo senso offre un’esperienza più completa. Ci sono però situazioni in cui i collaudi sono meno critici, in cui il cliente è già stato in azienda, ci conosce e quindi svolgere il collaudo da remoto permette un risparmio di costi. Mi aspetto quindi che questa nuova esperienza porti alcuni risparmi in futuro.
Alla luce di questa vicenda è mutato il vostro rapporto con l'innovazione? Pensate che questa crisi potrebbe accelerare/rallentare l’introduzione di qualche innovazione in azienda oppure prevarrà la necessità di "tornare ai fondamentali"?
L’Industria farmaceutica è un'industria molto regolata che ha tempi di cambiamento più lenti rispetto ad altri settori e la motivazione economica non è sempre la prima.
I farmaci hanno margini molto alti e pertanto le aziende non sono costrette a esplorare le ultime tecnologie per risparmiare pochi centesimi su ogni prodotto, come avviene nell’alimentare o in settori dove i margini sono minimi.
Detto questo, anche la farmaceutica si è resa conto che l’emergenza sanitaria offre opportunità di business importantissime, non solo per l’immediato, ma anche per il medio- lungo termine.
Come esempio possiamo citare nuove terapie legate al Covid e nuovi vaccini per tutti.
Sono convinto che presto saranno lanciati farmaci sempre più mirati per il trattamento di simili patologie e questa è un’opportunità di business importante per l’industria farmaceutica. Conseguentemente ci aspettiamo nuovi progetti e nuovi investimenti.
Inoltre, non solo ci sono stati rallentamenti, ma abbiamo riscontrato da parte dei nostri clienti una difficoltà crescente di approvvigionamento di materie prime farmaceutiche, soprattutto quelle provenienti da India e Cina. Anche per questo ci attendiamo di vedere prossimamente diversi progetti di reshoring e nuovi progetti di impianti per la produzione delle stesse in Occidente.
Prevediamo anche l’introduzione di soluzioni che sfruttino le nuove tecnologie nel campo della comunicazione per migliorare, per esempio, le manutenzioni degli impianti.
Negli scorsi mesi abbiamo collaudato e introdotto soluzioni per guidare (da remoto) i manutentori del cliente nello svolgimento delle riparazioni e delle manutenzioni periodiche. Sono tecnologie che impiegano cellulari, tablet o occhialini combinandoli con la realtà aumentata che forniscono agli operatori in tempo reale tutte le informazioni necessarie allo smontaggio dei componenti installati sulle nostre macchine.
Fortunatamente, in Fedegari, avevamo già iniziato a sviluppare queste soluzioni negli anni passati; l’emergenza ci ha offerto l’opportunità di collaudare senza dover faticare a convincere i clienti. Spesso è difficile convincere i nostri clienti a collegare le loro macchine al Cloud o a nostri server per motivi di riservatezza dei dati. Tutti i processi eseguiti dalle nostre macchine sono convalidati e i clienti temono che qualcuno, in maniera non controllata, possa eventualmente alterare gli stessi compromettendo così la effettiva sterilità dei farmaci.
In una situazione di emergenza come questa però, sono mutate le priorità e le esigenze produttive hanno prevalso su tanti eccessi di scrupolo.
Vuol dire introdurre nuovi modelli di business per voi?
Questa opportunità è reale. Per esempio, se avessimo un controllo più diretto delle nostre macchine in esercizio nel mondo, potremmo avviare quei programmi di manutenzione predittiva che abbiamo sviluppato negli anni passati. In pratica, questa emergenza ha obbligato diversi nostri clienti a valutare meglio i rischi legati alla sicurezza delle macchine e dei processi rispetto alla produttività.
L'emergenza sanitaria ha evidenziato dei limiti strutturali del sistema industriale italiano? Se sì, quali?
Alcuni fornitori sono rimasti chiusi, cosa che ci ha comportato non pochi problemi per il completamento delle commesse.
Durante la fase più acuta dell’emergenza, con l’obiettivo di evitare un contagio tra i dipendenti, abbiamo preferito tenere a casa molte persone che hanno avuto contatti con familiari o conoscenti potenzialmente infetti. Ciò ha avuto un costo pesante per l’azienda.
Abbiamo però deciso di non chiudere, oltre che per supportare i nostri clienti, anche per continuare a retribuire i nostri dipendenti. Davanti ai continui proclami di un governo che dimostrava di non avere alcuna competenza nella gestione di una crisi di questa portata, non sapendo quanto sarebbe durata, abbiamo preferito fare i sacrifici necessari, ma non fare ricorso alla Cig anche per non gravare sulle spalle di uno Stato già pesantemente indebitato.
Siamo invece testimoni di esperienze diverse nelle nostre filiali all’estero. Dagli Stati Uniti alla Svizzera fino a Singapore, non appena sono stati deliberati contributi o finanziamenti, gli stessi sono arrivati sul conto corrente in tempi variabili tra i 50 minuti e i 2 giorni.
In quei paesi non hanno pensato soltanto alla sopravvivenza sanitaria della popolazione, ma anche a non far morire l’economia.
L'emergenza sanitaria ha evidenziato dei punti di forza, dei fattori di resilienza, del sistema industriale italiano? Se sì, quali?
Formalmente Fedegari è una grande industria, ma per il tipo di lavoro che facciamo e per le nostre dinamiche siamo più simili a una Pmi. Il punto di forza del Paese è proprio quello di avere una economia basata sulle Pmi che sono, per definizione, più flessibili e capaci di adattarsi alle esigenze del mercato.
Una crisi come questa sta offrendo opportunità a tanti; l’importante però è che le imprese non muoiano e che in questa crisi riescano a inventarsi soluzioni che fino alla fine dell’anno scorso non venivano considerate.
La fragilità finanziaria, invece, è l’altra faccia della medaglia.
Interpretando questo momento in termini di risk management come pensate al vostro settore/impresa nei confronti delle variabili:
Lavoro/Automazione
L’automazione di processo sulle nostre macchine è certamente un elemento critico. L’industria farmaceutica guarda con interesse a queste tecnologie, ma è anche molto prudente nell’adottarle.
Il software che controlla le nostre macchine è convalidato con un sistema di qualità molto rigoroso e quindi il cliente non vede di buon occhio aggiornamenti frequenti dei programmi.
Pertanto, ogni innovazione che introduciamo, deve essere ancora convalidata accuratamente.
Dal canto nostro ogni evoluzione del software, producendo impianti a commessa, deve sempre tenere in considerazione benefici e costi dell’innovazione.
Filiera/mercati di approvvigionamento, si spingerà su reshoring?
Nel mondo farmaceutico oggi si stanno riconsiderando tutte le scelte fatte in passato sulla rilocazione all’estero, soprattutto in India e Cina, delle produzioni di base quali per esempio la chimica fine per sfruttare costi della manodopera inferiori e magari agevolazioni fiscali.
Noi prevediamo che nei prossimi anni un certo numero di questi impianti saranno ricostruiti in Occidente, sfruttando tecnologie più innovative ed efficienti.
Come si sono comportate le istituzioni? Vi sentite inseriti in un "sistema proattivo" o abbandonati?
Sicuramente abbandonati, anche se conoscendo la generale attitudine dello Stato, non ci aspettavamo nulla in termini di supporto reale. In altri Paesi, sui quali operiamo attraverso le nostre filiali, lo Stato si è comportato in maniera decisamente diversa nei confronti di quelle imprese che mantenevano invariato il livello di occupazione.
Abbiamo cercato di lavorare autonomamente com'è nostra consuetudine, ma nessuno in particolare ha pensato di aiutarci. In altri paesi abbiamo avuto supporto concreto, attivo e velocissimo.
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