Potenze come Singapore, Corea del Sud, Germania e Giappone hanno risolto i problemi occupazionali con un’alta densità di robotica, e per l’Italia e le sue Pmi per essere competitivi il futuro è certamente nelle nuove tecnologie, oltre che nella ricerca.
L’Italia è seconda in Europa per utilizzo di robot e decima al mondo per densità, nonostante una battuta d’arresto nel 2020. «Il calo di vendite nel nostro paese è del 14,2% di vendite di robot, su un totale di 7782 robot» è Domenico Appendino presidente di Siri (Associazione Italiana di Robotica e Automazione), a snocciolare un po’ di dati della robotica italiana.
«Se si guarda i dati Ifr (Federazione Internazionale di Robotica) vedremo che l'Italia ha avuto 3 anni incredibili con un 2017 con la crescita del 20% nelle vendite, un 2018 con una crescita del 27% e un 2019 con il 13% in più, quando il mondo era con un 12% in meno» spiega Appendino, «con un risultato 25 volte migliore del mondo. Quindi un anno di pre pandemia dove altri problemi avevano dato un grosso colpo all’industria in generale, specialmente quella della robotica che ha come settore di sbocco l’automotive». Infatti è il principale settore applicativo, seguito rispettivamente dall’elettronica e dalla lavorazione dei metalli.
Ma le nuove tecnologie, i robot, ci ruberanno il lavoro? Durante l’incontro di 360 On Tv i relatori hanno cercato di rispondere alla domanda che sta dividendo il mondo in “tecnoscettici” e “tecnottimisti”. Quello che si stiamo notando è che, oltre al settore manifatturiero, i robot stanno entrando anche nel primario, in agricoltura, dove manca manodopera e dove c’è bisogno di qualità, anche e soprattutto per i lavoratori.
La robotica, per definizione, non andrà quindi a sostituire l'uomo, ma a supportarlo, in una relazione di complementarietà nel suo lavoro, per compiere appunto attività al posto dell’uomo. Le numerose ricerche, che si sono concentrate su questo argomento evidenziano come i risultati mostrino le categorie potenzialmente esposte ai robot, sostituibili dai robot, non ne hanno risentito e per chi lavora con i robot l’occupazione è aumentata del 50% in poco meno di 10 anni. E come sottolineato durante l’incontro i robot hanno sostituito a livello “ergonomico” le attività umane, aumentando anche la sicurezza degli operatori, ma sicuramente non sostituendoli a livello cognitivo. L’intelligenza dell’uomo quindi non è sostituibile, ma è necessaria per migliorare le condizioni di lavoro, annullando alcune occupazioni, questo è vero, ma creandone delle nuove che richiedono una formazione per migliorare la qualità di vita, come del resto s’è visto principalmente all’interno delle fabbriche, dove alcune mansioni sono state sostituite dalle macchine. Perché quando l’adozione di macchine robot aumenta la disoccupazione diminuisce, perché necessitano di un supporto umano.
Ma è giusto riportare anche l’opinione e lo studio della controparte che evidenzia come l'occupazione cresce nei settori che investono di più in robotica, perchè le aziende aumentano la competitività, ma il danno di questo meccanismo, è superiore al beneficio in termini occupazionali. Poche aziende rispetto al totale, ma colossi.
La robotica, non andrà a sostituire l'uomo, ma a supportarlo, in una relazione di complementarietà nel suo lavoro, per compiere attività al posto dell’uomo
«La verità è nel mezzo e dipende da molteplici fattori perché tutto dipende da molteplici fattori, primo tra tutti la struttura produttiva del Paese – precisa Sergio Scicchitano, economista dell’Inapp – in generale l’effetto è diverso da paese a paese». Per Marco Bentivogli invece non ci dovrebbe essere un palleggio tra tecnofobi e tecnoentusiasti. «Non è una questione di ottimisti e pessimisti. L’Italia però è uno dei paesi più tecnofobi nonostante tutti gli inventori che abbiamo avuto e le tecnologie abilitanti possono riportare in Europa e in Italia le aziende. Per farlo, gli ingredienti sono tre: le competenze, le tecnologie abilitanti e i nuovi sistemi di organizzazione del lavoro e soprattutto serve un territorio che riaccoglie. Dobbiamo costruire generazione di ricerca e innovazione che si possa trasferire alle Pmi, questa è una necessità».
La questione, nonostante stia impegnando lo sforzo di numerosi esperti è ancora aperta, ma il dibattito fondamentale è uno soltanto: se è difficile capire quali lavori sono o non sono al sicuro e se i robot ci sostituiranno o no, basta ricordarsi che siamo noi umani a dettare le regole del gioco, almeno fino ad ora.
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