Acciaio inox a contatto con gli alimenti: prove di cessione a 70 gradi

Il commento di Andrea Barazzoni di Fiac

25 mag 2016

l.a.

Dopo 40 anni finalmente è stata adeguata la norma sull'acciaio inox a contatto con gli alimenti, ossia l'art. 37 dm21/3/73, che obbligava a effettuare prove di cessione a 100 gradi centigradi per gli articoli da taglio in acciaio inox. Ora è sufficiente la soglia dei 70 gradi.

«Ci siamo avvicinati alle reali condizioni di impiego di questi oggetti. Anche nelle ipotesi di massimo stress dell'utensile non si arriva mai neanche lontanamente a temperature superiori ai 30-40 gradi e, oltretutto, per pochissimi secondi», dichiara Andrea Barazzoni, Presidente Fiac, l'associazione dei costruttori italiani degli articoli casalinghi, della cucina e della tavola.

Essendo la prova eccessiva rispetto alle reali condizioni di utilizzo, la stessa risultava spesso distruttiva e fuorviante per determinare correttamente l'adeguatezza del prodotto alle norme. La prova a 100 gradi, infatti, poteva provocare nei coltelli una cessione di cromo, nickel o manganese anomala. Tale cessione si registrava su taluni pezzi e non su altri perfettamente identici e realizzati dal medesimo materiale e con la stessa lavorazione, in una condizione che era estremamente più gravosa delle peggiori condizioni di uso ipotizzabili.

Pur utilizzando acciai rigorosamente all'interno della lista di positiva degli acciai, a volte si ottenevano risultati di non conformità della prova, e solo su alcuni pezzi di uno stesso lotto di produzione, che risultavano inspiegabili. Il vantaggio per le aziende sta nell'aver eliminato l'incertezza che in questo settore regnava ormai da più di 40 anni.

Un'azienda straniera, che vende i prodotti sul mercato italiano, i cui prodotti siano sottoposti a controllo, può legittimamente esibire un certificato di conformità rilasciato dalla propria autorità nazionale che è considerato equipollente e riconosciuto dall'autorità sanitaria italiana.
Lo stesso trattamento non viene riservato agli italiani. I coltelli messi in vendita da una azienda italiana, anche se sottoposti ad analisi in autocontrollo o a controllo da parte di autorità sanitarie doganali, quindi dotati di una attestazione che ne certifica la piena conformità, non sono esenti da controlli a campione presso i punti vendita. Ciò comporta un aggravio di costi e rischi di risultati non conformi su un singolo pezzo, spesso a causa di analisi condotte con protocolli non armonizzati o regolamentari.

«Prossimo passo su questo fronte ci auguriamo sia la standardizzazione dei protocolli di analisi e l'apertura agli Enti di Certificazione accreditati, pubblici e privati, per consentire la velocizzazione delle procedure e una conseguente riduzione dei costi per le aziende produttrici», chiude Barazzoni.


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